Il dipinto reca iscrizione a pennello sul margine superiore: "S. JACOBUS MINOR".
Oltre che per l'iscrizione che segnala correttamente il personaggio effigiato, San Giacomo Minore può essere agevolmente individuato per via della imponente clava ch'egli tiene con entrambe le mani, suo principale attributo in quanto strumento del suo martirio secondo la narrazione della Legenda Aurea. Di impressionante concezione monumentale e superba fattura pittorica, esasperatamente realistica nella definizione del volto, della mani e dei capelli, questo dipinto si inscrive pienamente all'interno di una delicata e cruciale fase di transizione della pittura romana, che si attua nel corso del secondo quarto del secolo. Da un lato, infatti, si colgono ancora con chiarezza in quest'immagine potente, sostenuta da una pennellata vigorosamente materica, echi naturalisti post-caravaggeschi, mediati soprattutto da Ribera, Borgianni e Serodine. D'altro canto, già si intravvede nel dipinto un nuovo clima figurativo, meno dipendente dall'imprinting caravaggesco, i cui principali punti di riferimento possono essere riconosciuti in Giovanni Lanfranco e Pier Francesco Mola.