La ritrattistica del Mulinaretto gioca un ruolo di primaria importanza negli sviluppi della ritrattistica genovese della prima metà del Settecento, allorquando i consolidati moduli derivati del profondo e duraturo influsso di Van Dyck vengono sostituiti da moduli formali di influenza francese, che guardano a Mignard, Largilliere e soprattutto a Hyacinthe Rigaud. Allievo dapprima a Genova di Giovanni Battista Merano, il pittore fu poi a Roma a bottega del conterraneo Baciccio, presso il quale ebbe modo di sviluppare le sue virtù di ritrattista. Il presente dipinto dovrebbe collocarsi nella piena maturità del Mulinaretto, forse negli anni del suo soggiorno a Parma, dove fu artista di corte dei Farnese, tra il 1709 e il 1715. Ammiriamo qui l’eleganza e l’equilibrio formale, il preziosismo materico e il virtuosismo coloristico tipici del pittore, arricchiti però da un tratto più intensa e intima espressività. Possiamo comparare il nostro ritratto a opere del Mulinaretto come il Ritratto di Gaetano Anguissola nella Rocca Meli Lupi a Soragna, il Ritratto di gentiluomo in Rosso della Galleria di Palazzo Bianco a Genova o il Ritratto di Filippo V di Spagna del Museo di San Martino a Napoli.