TITINA

Titina Maselli nel ricordo del fratello Citto: un magistrale racconto scritto in occasione della mostra che Bertolami Fine Art dedica a una grande protagonista dell’arte italiana post-war

“Come spesso accade ai fratelli minori io da piccolo adoravo Titina che per me era quasi un dio”

Come spesso accade ai fratelli minori io da piccolo adoravo Titina che per me era quasi un dio. Basti dire che per aver lei detto una volta che non le piacevano l’aglio e la cipolla io sono arrivato a somatizzare quella avversione per cui ancora oggi che sono sui novanta non posso mangiare niente che sia condito con quei due ortaggi. (Salvo scoprire poi, da grande, che lei mangiava cibi tranquillamente con aglio o cipolla senza problemi).

 

Titina Maselli Profilo di ragazzo (Citto), 1938 ca

Olio su tavola – 24×23 cm

“Titina cominciò a dipingere fuori. Per le strade. Di notte oltretutto: era affascinata dai residui della giornata che occupavano i marciapiedi: pezzi stracciati di giornali, pacchetti ripiegati di Luky Strike, bucce di mela o di banana”

Quando Titina cominciò a dipingere io stavo in un angolo a guardarla, felice se mi chiedeva di stare fermo immobile per ore perché mi stava facendo un ritratto. E felice quando qualcuno degli uomini e delle donne importanti che frequentavano casa nostra le facevano un complimento. A quei tempi mio padre scriveva d’arte e letteratura su “Il Messaggero” che, diretto allora da Mario Missiroli, era un po’ come “la Repubblica” di oggi. Avevo cinque anni e mi è rimasta precisa la memoria di quando dipinse il suo primo quadro che raffigurava un candeliere di porcellana bianca con infilata una candela su uno sfondo chiaro. Ricordo che, dopo alcuni esercizi che erano nature morte con oggetti di casa, Titina cominciò a dipingere fuori. Per le strade. Di notte oltretutto: era affascinata dai residui della giornata che occupavano i marciapiedi: pezzi stracciati di giornali, pacchetti ripiegati di Luky Strike, bucce di mela o di banana. Ricordo che la accompagnavo spesso, assieme ad Aggeo Savioli e Luigi Pintor (Pintor partecipò poi alla Resistenza come GAP, mentre Aggeo era responsabile del lavoro con gli studenti medi nel Partito comunista clandestino e mio “capo” nella Resistenza romana). A volte anche con Carlo Bertelli, Giorgio Bassani, Franca Angelini. Qualche volta c’erano anche mio cugino Giorgio Pirandello e Tommaso Chiaretti, ma ricordo che quando nessuno di noi poteva, Titina usciva da sola caricandosi cassetta e tela e sottoponendosi tranquillamente alle battute dei giovanotti stupiti e ironici che l’attorniavano.

Titina Maselli Natura morta Lucky Strike III, 1948

Olio su tavola, 25×35 cm

“Erano in tanti innamorati di lei. Anzi, nel mio ricordo di fratello minore incantato e adorante, lo erano tutti”

Erano in tanti innamorati di lei. Anzi, nel mio ricordo di fratello minore incantato e adorante, lo erano tutti. Anche i “grandi” e accademici d’ Italia come Massimo Bontempelli che sorpresi scatenato a volerla nella cucina di casa nostra, mentre in salotto c’erano tutti gli altri invitati ignari in conversazione. Già, erano tanti in quegli anni: da Paola Masino a Savinio, da Silvio D’amico ad Alfredo Casella a Corrado Alvaro. Ma poi c’erano i Gorresio e i Pannunzio, Palma Bucarelli, la Bellonci, Cagli, Alba De Cespedes e Guttuso, qualche volta Casorati e Brancati.

 

Titina era appassionata di teatro e mi portava a tutte le “prime” di quel particolare risveglio che Gerardo Guerrieri, Ruggero Jacobbi ed Enrico Fulchignoni impressero al teatro italiano fra il ’39 e il ’42. C’era sempre anche la nostra cugina Ninì prediletta dal nonno Luigi e mi pare sia stato lì che conobbero insieme Toti Scialoja impegnato con Vito Pandolfi in una scenografia molto ensoriana dell’ “Opera dei mendicanti” di John Gay. Ci fu qualche problema con la polizia prima che andasse in scena perché tra la folla dipinta sulla falsariga dell’ “ingresso di Cristo a Bruxelles” Toti aveva inserito dei cartelli con scritte provocatorie come “le cose hanno preso ormai una cattiva piega” che coincideva con i giorni della grande svolta di Stalingrado.

“Nel periodo dell’occupazione tedesca casa nostra era a disposizione dei tanti militanti che dovevano cambiare casa ogni notte secondo le regole della clandestinità”

Nel luglio del ’43 ci fu il bombardamento di San Lorenzo e poi l’arresto di mio padre. Nel periodo dell’occupazione tedesca casa nostra era a disposizione dei tanti militanti che dovevano cambiare casa ogni notte secondo le regole della clandestinità, mentre certe notti ci arrivavano le urla dei compagni torturati dalla banda Kokh nella allora pensione Jaccarino che dava sul cortile di casa nostra. Io organizzavo gli studenti medi mentre Titina batteva a macchina volantini e – a volte – articoli per l’ Unità clandestina. Poi il mio “capo” Aggeo Savioli fu arrestato e dovetti andare a dormire fuori, dalla cognata di Alberto Savinio che era Jone Morino, un’attrice assai conosciuta in quell’ epoca. In quell’ ultimo periodo di occupazione Titina era impegnata soprattutto nella “logistica” dei militanti clandestini: i tanti rifugi notturni da trovare ed alternare, le uova sode da fornire ai compagni in certi pacchettini da mettere in tasca, per farli pesare il meno possibile sulle scarse risorse delle famiglie da cui andavano. Insieme ai clandestini politici, Titina e mamma si occupavano anche degli ebrei sfuggiti alle razzie dei tedeschi e dei fascisti: il pittore Claudio Astrologo lo conoscemmo così, in quello scorcio di calda e indimenticabile primavera romana.

 

Nel maggio del 1945 Titina si sposa con Toti Scialoja. E il giorno del matrimonio fu lei a “posare” per me. Io stavo girando con una piccola macchina da presa 8 millimetri il mio primo corto che raccontava di un uomo che camminando la sera per le strade cittadine le guarda in “soggettiva” e fa diversi incontri. Chiesi a Titina di interpretare una prostituta: truccatissima e vestita sommariamente. Senonché per avere una luce serale senza il traffico e il va e vieni della gente, dovevo girare all’alba e così per non svegliarsi prestissimo due volte decidemmo di girare quella scena la stessa mattina del matrimonio. Successe però che non facendo in tempo a cambiarsi si presentò alla chiesa in quella tenuta “da prostituta”, come disse sorridendo Toti: ma indimenticabile per me resta lo sguardo assolutamente esterrefatto con cui la guardò il povero sacerdote che la doveva sposare. Purtroppo quel filmetto che rappresentava comunque il mio esordio nella regia cinematografica è andato perduto. Ma servì poi a dimostrare le mie capacità al giovanissimo Antonioni che mi esaminava per l’ammissione al Centro sperimentale per la cinematografia.

New York:

“Anche lì usciva di notte con il cavalletto a tracolla e in un ambiente dieci volte più allarmante e pericoloso degli sfottò dei ragazzi romani”

I camion vennero dopo, a Ponte Milvio. E in mezzo c’era stata New York con le due grandi mostre del ‘53 e ‘55 alla Durlacher Gallery che aveva già esposto Bacon. Anche lì usciva di notte con il cavalletto a tracolla e in un ambiente dieci volte più allarmante e pericoloso degli sfottò dei ragazzi romani. Ricordo che tremavo quando mi arrivavano le sue lettere con i racconti newyorkesi e mi veniva istintivamente da rimpiangere la bella casa con vista su Trinità dei monti che aveva in via Pinciana quando stava ancora con Toti. Io ero andato a sistemarmi in quello che, nella nostra casa di famiglia, era stato il suo studio. Ricordo come manteneva sedimentato l’odore d’acquaragia e trementina, ma anche quello ineffabile delle “ciprie d’epoca” che era riuscita a rintracciare in certe straordinarie profumerie quando aveva cominciato a truccarsi e vestirsi, anzi a travestirsi. Cominciò che aveva compiuto da poco i diciassette anni ed eravamo imbevuti tutti del grande cinema francese di quel periodo insieme a due presenze antecedenti: “Il fortunale sulla scogliera” di Dupont e tutta la Garbo dei primi anni trenta: il suo silenzio, le sue scollature, la sua fronte divina.

Titina Maselli

Grattacielo, 2004

Acrilico su tela -150×100 cm

“Ho sempre ammirato Titina per il coraggio con cui,

sola, affrontava tutto”

Ho sempre ammirato Titina per il coraggio con cui, sola, affrontava tutto. Solo per i non facili rapporti con i registi teatrali mi chiedeva consigli (e io glie li davo cercando di farle capire che un regista è un po’ l’autore complessivo degli spettacoli che mette in scena e dunque se ne dovevano accettare le indicazioni e i voleri). Su queste cose ricordo che rimaneva perplessa, anche perché in realtà lei sposava tutto il lavoro creativo che uno spettacolo teatrale richiedeva.

“La trovammo stesa sul letto, dopo aver finito l’ultimo quadro per la sua mostra al palazzo delle Esposizioni. Sola anche quel pomeriggio di febbraio..”

Aveva lavorato fino alle cinque e mezzo del pomeriggio per finire l’ultimo dei suoi boxeur su cui s’era concentrata nelle ultime settimane. Ero stato chiamato a consulto giorni prima su un viola che non la convinceva ma queste convocazioni erano spesso per tutti e due un pretesto per restare a chiacchierare in quel modo svagato e insieme dettagliatissimo che era tipico suo. Era in un momento sereno della sua vita anche se le preoccupazioni per un pacemaker che le era stato applicato malamente e irresponsabilmente l’avevano portata a riflettere sulla possibilità di una morte vicina. La guardava senza problemi perché considerava con maggiore irritazione e malinconia una decadenza fisica che avrebbe sempre più ridotto il suo fare e disfare, partire e arrivare, distruggere e rifare, raggiungere un amico a New-York o partire di notte per prendere in tempo un cargo che l’avrebbe portata con gli amici a Istanbul. Per non parlare della costruzione continua e metodica delle sue case: da quella di … fino all’ultima e amatissima a Trastevere, con la finestra su Santa Maria. Eravamo a cena da Lucio Manisco quando ci arrivò la telefonata di una ragazza che lavorava con lei. La trovammo stesa sul letto, dopo aver finito l’ultimo quadro per la sua mostra al palazzo delle Esposizioni. Sola anche quel pomeriggio di febbraio.

Citto Maselli

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