L'opera replica quella conservata presso la Pinacoteca Capitolina di Roma eseguita dal pittore nel sesto decennio del Seicento. La composizione presenta un tema molto caro al pittore, più volte sviluppato con notevoli varianti compositive, il mito greco di Endimione che narra di quanto Diana (Selene) fosse perdutamente innamorata di questo bellissimo mortale, tanto che giunse fino al punto di chiedere al padre degli Dèi di concedergli un'eterna giovinezza per poterlo amare per sempre; una versione alternativa vuole invece che, mentre Endimione dormiva all'interno di una grotta nei pressi della città di Mileto, Diana pregò ardentemente Zeus di mantenerlo in quello stato. L'attitudine di Mola ad eseguire opere su pietra è attestata dall'esistenza perlomeno di due opere: un Mercurio e Argo (Galleria Alberto Di Castro, Roma; già asta Dorotheum, Vienna, 17/04/2013) e un San Francesco che riceve le stigmate (Asta Christie's, Londra 09/12/1994; già Roma, collezione del cardinale Antonio Barberini, 1671), rispettivamente su lavagna e su marmo, a cui va aggiunta un'Adorazione dei pastori attualmente dispersa, ricordata nel 1683 nella collezione romana di Gaspar de Haro y Guzmán marchese del Carpionel. Il nostro dipinto potrebbe essere riconosciuto nella menzione inventariale del 1763 dei beni del cardinal Girolamo II Colonna, dove è ricordato "Un piccolo Quadruccio per alto di p[al]mi 1 1/2 circa rapp.te Endimione, e Diana della scuola di Francesco Mola senza cornice 4".
BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO:
E. A. Safarik, Documents for the History of Collecting: Italian Inventories 2, in Collezione dei dipinti Colonna. Inventari 1611-1795, Monaco 1996; F. Petrucci, Pier Francesco Mola (1612.1666). Materia e colore nella pittura del Seicento, Roma, 2012, p.514).